di Claudio Calvaresi*
La prima delle funzioni «fondamentali» dei nuovi enti intermedi (lett. a) è l’«adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all’esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza».
Dal momento che la legge attribuisce alle città metropolitane delle finalità istituzionali generali, allora occorre uno strumento funzionale a quelle stesse finalità, in grado di dare loro attuazione a livello metropolitano. Tale strumento non può che essere rinvenuto nel piano strategico metropolitano, essendo questo funzionale a promuovere una progettazione a livello di area vasta, che faciliti il raggiungimento degli obiettivi stabiliti in sede politica. Il Piano è lo strumento attraverso cui riorganizzare le funzioni e gestire le risorse a livello metropolitano.
Il lavoro di indagine sui piani strategici approvati ha permesso di riconoscere alcuni “modelli di piano”.
Sulla base dell’analisi dei documenti di piano (relativi a Bologna, Firenze, Genova, Milano, Torino e Venezia) e di un set di interviste ad alcuni dei responsabili dei piani presso le Città Metropolitane, abbiamo fatto emergere le caratteristiche salienti dei processi di pianificazione strategica.
L’analisi è stata condotta tenendo conto delle tre principali dimensioni della pianificazione strategica:
- La visione: la parte retorica del piano, che allude ad un futuro desiderato per orientare i comportamenti degli attori nel presente.
- Le azioni: gli interventi previsti dal piano, che interrogano la visione e prevedono il coinvolgimento degli attori.
- Gli attori: sono gli stakeholder mobilitati sulla realizzazione delle azioni e interrogati dalla visione.
Abbiamo quindi identificato dei modelli di piano a partire dal modo in cui ciascun piano strategico interpreta queste tre dimensioni. Come si può notare dunque non sono modelli di piano estratti dalla teoria per poi essere adeguati alle pratiche, ma sono tratti salienti delle esperienze per essere generalizzati e offerti alla riflessione delle Città Metropolitano e all’esercizio di apprendimento tra pari.
Il primo modello è quello di un “piano strategico fondato sulle policy”. È il modello perseguito da Città Metropolitana di Bologna. La visione che esprime è un policy statement dell’ente. Le azioni sono, più che interventi, come indirizzi sulle policy che dipendono da CM o su quelle per le quali CM intende esprimere orientamenti per altri soggetti; mentre il coinvolgimento degli attori è definito attraverso un chiaro disegno istituzionale (Consiglio di sviluppo del piano strategico e Tavolo delle società partecipate).
Il secondo modello, esemplificato dai casi di Firenze e Milano, è definibile come “piano strategico con forte impronta territoriale”. Il tentativo appare quello di affermare, grazie ad un piano strategico di matrice razional-comprensiva, la legittimazione all’ente che lo promuove. La visione che propongo questi due piani è di natura spaziale: Firenze riconosce “aree territoriali” differenti e le caratterizza con precisione; Milano fornisce “carte di identità” delle diverse “città di città” che compongono l’area metropolitana. Il coinvolgimento degli attori avviene attraverso attività di ascolto e di confronto strutturato. Le azioni sono organizzate secondo uno schema molto definito, sia in termini gerarchici come nel caso di Milano (“piattaforme progettuali” e poi “azioni progettuali”), sia in termini temporali come a Firenze (azioni di breve, medio e lungo periodo), sia con riferimento ai diversi territori (Milano propone 7 agende strategiche per ciascuna delle Zone omogenee).
Il terzo modello, perseguito da Genova, Torino e Venezia, prevede la costruzione del piano attraverso la raccolta di idee progettuali e proposte dal territorio e dall’interno dell’ente. Gli interventi sono organizzati secondo schemi “a cannocchiale” (la logica, se pur con nomi diversi, vede la sequenza Linee strategiche > Percorsi di azione >Azioni). La visione è puramente descrittiva, limitando fortemente l’esercizio scenariale. È il modello che affida al piano strategico il compito di mettere ordine e razionalizzare le molteplicità progettualità esistenti.