L’analisi delle identità produttive delle 14 città metropolitane ha permesso di individuare tre tipologie di polo urbano:
- le città che sono riuscite a compendiare una propria specifica specializzazione produttiva, con funzioni di servizio più tipicamente trasversali, favorendo l’integrazione di nuovi tipi di conoscenza; Milano, Torino, Bologna e Firenze, mostrano elevati tassi di export per abitante, proprio perché sono riconosciute home base di business importanti e svolgono un ruolo di capofila per altri territori “periferici”; si sono bene integrate con i distretti del Nord Italia e sono riuscite, grazie all’Alta Velocità, a integrarsi progressivamente tra loro;
- le città che sono riuscite a sviluppare una propria specifica vocazione produttiva, ma non sono riuscite a diventare un volano per altre economie “periferiche” collegate; Venezia, ad esempio, capitale mondiale del turismo, non è riuscita a compendiare la sua identità specifica, e le infrastrutture di trasporto che ad essa fanno riferimento, con le nuove funzioni richieste dai distretti delle Venezie; Genova allo stesso modo, pur essendo un porto di primaria grandezza, non è riuscita a sviluppare funzioni di supporto al resto del nord, dopo la crisi dei propri settori industriali di punta; Cagliari, anche per ragioni geografiche, pur avendo livelli di export per abitante interessanti, non ha sviluppato un ruolo di driver nazionale, così come Roma, paradosso dei paradossi, pur essendo la capitale del paese e pur accentrando una serie di funzioni indispensabili per l’attivazione di progetti di sviluppo, soprattutto nel Mezzogiorno, stenta ad essere riconosciuta come metropoli funzionale alla crescita degli ambienti “periferici” centrali; a questo gruppo si associa Napoli, la più grande città metropolitana del Sud, che ha perso centralità in alcuni settori produttivi e, pur sviluppando importanti funzioni di integrazione culturale e turistica, non riesce ad essere riconosciuta come risorsa nazionale da distretti e territori produttivi, che alla sua linfa vitale e alle sue infrastrutture fanno riferimento;
- le città della costa che, nelle diverse regioni del Mezzogiorno, svolgono funzioni di attivazione produttiva soprattutto regionale, con livelli di export diretto per abitante piuttosto contenuti, offrono un set di servizi utili allo sviluppo nazionale ancora insufficiente; si tratta di città di medie dimensioni, che vengono sempre più percepite esse stesse come sistemi “periferici” (dal punto di vista economico) rispetto ai nuovi baricentri economici dell’Europa; emblematica di questa situazione è Bari, un tempo sede di importanti eventi fieristici e investimenti industriali, che si trova oggi in difficoltà sulla sponda di un Mediterraneo sempre più terra di confine, piuttosto che ponte verso il Medio Oriente e l’Africa; allo stesso modo Palermo e le altre città metropolitane della Sicilia (Trigilia C. e Casavola P., 2012) soffrono una posizione geo-politica nella quale stentano a svolgere funzioni direttamente produttive.
Senza maggiori investimenti, mirati e differenziati, le città metropolitane italiane rischiano di fallire l’obiettivo di dare al paese il secondo motore necessario. Ed è un rischio che il paese non può permettersi. Con solo quattro città metropolitane di terraferma che hanno consolidato un ruolo globale (Milano, Torino, Bologna e Firenze) e dieci città della costa (Roma inclusa) incapaci di sviluppare una visione e una proiezione esterna, è difficile pensare che il Paese riesca a trovare il motore aggiuntivo, a quello dei distretti, di cui ha bisogno. Non è un caso che il contributo totale alle esportazioni nazionali, da parte delle 14 città metropolitane, sia proporzionalmente inferiore al loro peso economico, politico e sociale (in termini di residenti, imprese innovative e attrazione degli investimenti in R&D).
Il dibattito sull’autonomia differenziata sta mettendo in secondo piano il ruolo delle regioni e anche delle città, come strumento di riforma dello Stato, e sta spostando l’attenzione sulla necessità di investire su funzioni centralizzate, come chiave di rilancio economico e amministrativo del paese. E’ tuttavia urgente riprendere la riflessione sul ruolo dei territori nella nostra economia avendo in mente le nuove frontiere della logistica integrata, dell’ICT, della conoscenza globale.
Una prima strada può essere lo sviluppo di progetti di integrazione più stretta tra nodi metropolitani e aree “periferiche”, all’interno di una strategia nazionale di migliore presidio dei business tradizionali in crescita (e sui quali l’Italia possa aspirare a mantenere un vantaggio competitivo anche in futuro). In questo ambito gli strumenti di pianificazione attribuiti alle città metropolitane hanno già fatto molto, ma possono essere migliorati.
Una seconda strada potrebbe essere lo sviluppo di progetti di integrazione tra aree metropolitane già collegate tra loro da moderne infrastrutture.
Una terza strada potrebbe essere lo sviluppo di progetti di integrazione tra città metropolitane del Mezzogiorno e altre capitali del Mediterraneo, con l’obiettivo di rompere lo schema attuale che attribuisce al Mare Nostrum il ruolo di confine ultimo e lontano da un cuore europeo sempre più spostato a nord.
Tutto questo richiede però un superamento della funzione prevalentemente “amministrativa” che è stata finora attribuita alle città metropolitane. Oltre le iniziative di piano, è indispensabile avviare politiche di investimento, differenziate, e anche trovare nuovi strumenti di finanziamento delle infrastrutture che promuovano accordi con operatori privati, di tutto il mondo, a partire dal volano assicurato dalle risorse pubbliche.